Quelli che hanno avuto la pazienza e la costanza di leggermi fino ad oggi, e che devotamente ringrazio, noteranno, in questa mia nuova rubrica, un qual certo cambiamento.
Vi ho parlato di sport in tutte le salse e continuerò a farlo, ma adesso voglio inventarmi anche esperto cinematografico.
Visto che molti, al giorno d’oggi, si inventano tuttologi, non credo ci sia nulla di male nel provare a scrivervi di un genere cinematografico che negli anni ’70 è stato molto in voga, un genere che seguiva il filone di quegli anni e che scopiazzava il genere poliziesco che sempre in quegli anni andava di moda negli Stati Uniti, e cioè il poliziesco, che in Italia fu impropriamente definito “ poliziottesco “: un poliziesco fatto con pochi soldi e in poco tempo, girato in fretta e furia e, molte volte, senza il benestare delle autorità competenti.
Ma perché nacque questo genere?
In Italia eravamo nell’epoca degli anni di piombo, nel periodo delle stragi indiscriminate in cui i poliziotti, per una miseria, erano mandati al massacro ed in un’epoca in cui, se i criminali andavano in galera, due giorni dopo erano già fuori a compiere le stesse scorribande. E siccome la giustizia italiana funzionava in un dato modo, venne fuori la figura del poliziotto “ giustiziere “ che seguì la moda americana con Clint Eastwood nel ruolo dell’Ispettore Callaghan e con Charles Bronson nel ruolo de “ Il giustiziere della notte “.
In Italia, il ruolo del commissario “ giustiziere “ appartenne, soprattutto, al compianto Maurizio Merli, prematuramente scomparso nell’ormai lontano 1989, mentre il ruolo del cattivo per antonomasia, tranne rare eccezioni, fu priorità del cubano di Roma, Tomas Milian, anche lui scomparso. Tantissimi gli attori protagonisti di questo genere di film in quegli anni: da Luc Merenda ad Henry Silva, da Franco Nero a Gastone Moschin, da Franco Gasparri a Claudio Cassinelli, questo solo per citare i più noti. Silvia Dionisio, Barbara Bouchet e Delia Boccardo le attrici principali.
Oggi, vi voglio scrivere di un film, “ Milano odia, la polizia non può sparare “ del recentemente scomparso Umberto Lenzi, con le musiche di Ennio Moricone, anno 1974.
I protagonisti di questo film erano Henry Silva, nel ruolo del commissario Grandi, Tomas Milian nel ruolo del cattivissimo e sadico Giulio Sacchi, un giovanissimo Ray Lovelock, il cantante Gino Santercole, autore qualche anno prima della canzone “ Una carezza in un pugno “, Laura Belli, allora compagna del presentatore televisivo Claudio Lippi e Luciano Catenacci, un caratterista quasi sempre nel ruolo del cattivo.
Tanto per essere subito smentito,questo film, che da molti è stato definito come poliziottesco, in realtà contiene alcune parvenze di splatter e gore, come nella violentissima scena del massacro della villa. Da alcuni è stato anche definito come noir metropolitano, anche se con dosi di violenza ben superiori alle abitudini di quel genere, perchè in fin dei conti racconta una storia di malavita, nella quale il “poliziotto di ferro” è solo uno dei protagonisti, ma neanche il principale.
Di cosa tratta questo film? Giulio Sacchi è un bandito spietato, sadico, senza scrupoli e soprattutto senza controllo tanto che, in una delle prime scene, mentre i suoi compari stanno partecipando ad una rapina, uccide un vigile che vuole fargli una multa per divieto di sosta. Da lì si scatena un’escalation di violenza.
Giulio Sacchi è molto ambizioso e tenta il colpo grosso, insieme ai suoi due compari, Carmine e Vittorio, rispettivamente interpretati da Ray Lovelock e Gino Santercole: rapire la figlia Marilù, interpretata da Laura Belli, del Commendator Porrino, il principale della sua donna, Iole. Carmine, durante il rapimento notturno, sotto l’effetto di stupefacenti, uccide il fidanzato di Marilù la quale, approfittando di un momento di distrazione dei tre, riesce a scappare ed a trovare rifugio in una villa, chiedendo aiuto. Vedendo lo stato confusionale della ragazza, gli occupanti la villa cercano di prendere tempo, ma nel frattempo arrivano Giulio, Carmine e Vittorio. Giulio, tanto per non perdere l’abitudine, uccide subito un uomo il quale gli aveva offerto del denaro. In questa fase dl film, avviene la scena più violenta e brutale dell’intero film: due donne, fatte spogliare, ed un uomo, vengono legati ad un lampadario e fatti partecipare ad un gioco erotico. Nel frattempo, sentendo un rumore dal piano di sopra, Tomas Milian spara con una mitraglietta ed uccide una bambina, figlia di una delle due donne. In questa scena, non si vede la bambina morta, ma si vede una bambola venire giù dalle scale; la mamma insulta Giulio e lui, con la sua mitraglietta, uccide i tre appesi al lampadario. Sulla scena del crimine arriva il commissario Walter Grandi, alias Henry Silva. Una piccola curiosità su questo attore: questo fu il suo primo ruolo da buono dopo una serie di interpretazioni da “ antagonista “. Grandi si ricorda di aver già visto Sacchi sulla scena di un altro omicidio, di un metronotte, davanti ad un distributore automatico di sigarette ed inizia a sospettare di lui, ma senza avere prove concrete ed è proprio su questo che si basa tutto il filone del film. Sacchi, nel frattempo, dimostra sempre più il suo carattere da psicopatico, uccidendo la sua fidanzata Iole dopo averle confessato che la strage nella villa è opera sua. Interrogato da Grandi, Giulio nega tutto, scoppiando anche in un finto pianto quando viene a sapere della morte della sua fidanzata e si costruisce un alibi con Maione, alias Luciano Catenacci, il quale ammette di aver giocato con lui a poker la sera del rapimento di Marilù. Ormai sempre più in preda ala follia, Sacchi prima uccide Marilù, la quale, prima di essere giustiziata, gli aveva urlato tutto il suo odio, poi anche Carmine e Vittorio che, comunque aveva già deciso di uccidere per prendersi l’intero riscatto. In un conflitto a fuoco, ferisce anche il Commissario Grandi che rimarrà claudicante. Pur essendoci tantissimi indizi contro di lui, non ci sono prove concrete per poterlo arrestare, ma …. ma eccoci alla conclusione: Giulio, in un bar, si vanta senza alcun pudore con gli amici per tutto quello che ha fatto, dicendo che per mandare qualcuno all’ergastolo “ ci vogliono prove grandi come il grattacielo della Pirelli “. Mentre dice questo, tutti i suoi amici se ne vanno: arriva Grandi, e Sacchi, pur turbato, continua a cercare di far finta di niente, addirittura offrendogli dello champagne. Ma Grandi, ormai disilluso dalla giustizia, tira fuori la pistola e lo uccide, mentre Sacchi, prima di morire, pronuncia queste parole: “ Commissario, la Polizia non può sparare “. Il film si conclude con il cadavere del bandito in mezzo ad un cumulo di rifiuti, con il Commissario che, arrivata la gazzella della Polizia, dice che l’ ex Commissario Grandi ha appena ucciso Giulio Sacchi.
Probabilmente, uno dei migliori film di Umberto Lenzi, uno dei tanti film in cui il Commissario buono si trova a diventare cattivo, vista la manchevolezza della giustizia italiana.
Stefano Steve Bertini