E’ notizia di questi giorni (quasi introvabile, l’ha riportata solo Il Corriere di Arezzo) la rimozione da parte di una suora missionaria e di altri tre aretini di un’opera delle 18 esposte lungo le scale mobili di Arezzo per una mostra ideata dall’associazione Mega+Mega SVM. Era un cartellone-fumetto con su scritto “Se incontri il negro, il frocio, l’ebreo, l’handicappato, il mussulmano, la puttana, il vecchio, il secchione, il cinese, la lesbica, il capellone, il vu cumprà, la minigonna, il povero, l’intellettuale, il barbone, il lavavetri, il malato, il tossico, lo zingaro, l’inferiore, il terrone, l’invertito, il debole, il diverso picchialo a sangue“.
Volendo evitare il solito intervento un po’ retorico in difesa dell’arte e contro la censura, il perbenismo, l’ignoranza vorrei però dire, sulla base del buon senso e dal punto di vista prettamente personale, che questa rimozione forzata è un atto comunque inaccettabile.
Personalmente, da totale ignorante in tema di arte, e non me ne voglia l’autore, l’opera in questione più che offensiva o fastidiosa mi è sembrata banale.
L’ho notata fra le 18 esposte, ne ho letto con attenzione il testo mentre risalivo le scale mobili e ho commentato (di nuovo non me ne voglia l’autore…) qualcosa tipo “…e sti cazzi“, poichè d’istinto m’è sembrato un messaggio piuttosto retorico, per quanto ancora il tema delle discriminazioni, dei pregiudizi e del razzismo sia una battaglia tutta da vincere
Questo però non giustifica tanto accanimento. Se la rimozione non può certo essere definita vandalismo (il fatto è avvenuto alla luce del sole, in pieno giorno davanti alle telecamere) è comunque, a mio avviso, un gesto sbagliato.
Un conto è infatti considerare un’opera d’arte (o meglio un oggetto che così viene definito da critici ed esperti) una cagata pazzesca, come direbbe Fantozzi, e dirlo e scriverlo (siamo in democrazia ed è proprio il concetto di arte che, nella contemporaneità, lascia spazio all’opinione); un’altra è considerarla offensiva per un qualche motivo e anche in quel caso dirlo e scriverlo, magari chiedendone educatamente la rimozione; un’altra ancora è rimuoverla sulla base di chissà quale ipotetica legittimazione.
Si poteva chiedere a chi ha scelto le opere di rivedere i suoi criteri di selezione la prossima volta, come pure si poteva chiedere a chi sceglie il soggetto chiamato a selezionare le opere di fare qualcosa di meglio. Non era certo il caso di staccare l’opera e portarla via.
Peccato che l’episodio sia passato nel totale silenzio delle istituzioni (anche quelle che patrocinano l’esposizione), sempre pronte invece a guadagnarsi piccoli palcoscenici su episodi di rilievo spesso molto minore, e pure nel quasi-silenzio dei media locali, anch’essi spesso oltremisura solerti su certi argomenti, e fin troppo sonnecchiosi su altri.