Di Don Ottorino Cosimi
Roma, biglietto di minacce al prete che aiuta i poveri: Sacrilegi e profanazioni. Caro reverendo, la chiesa è la casa del Signore, non dei poveri! Risponderai davanti a Dio dei sacrilegi e delle profanazioni compiuti in questa chiesa”. È questo il biglietto di “auguri” ricevuto oggi, nel giorno del suo compleanno, da monsignor Pietro Sigurani, rettore della basilica di Sant’Eustachio nel cuore di Roma, a due passi dal Pantheon. La colpa di don Pietro è quella di aver trasformato la basilica in un vero e proprio ‘polo per il sociale’: da sei anni, sotto il porticato, circa 120 persone ricevono ogni giorno un pasto completo, dal primo al dolce.
La Repubblica del 23 gennaio 2019
Questa notizia, pubblicata pochi giorni fa, ha suscitato vivaci reazioni. Conoscendo il mio lavoro nel territorio con la Caritas e il Banco Alimentare, che mi vede attivo da ormai cinquantanni, qualcuno mi ha domandato cosa penso del dualismo domus Dei aut domus pauperum: può, in altre parole, la casa del Signore essere la casa dei poveri?
La domanda mi ha “punzecchiato”, e mi è venuta voglia di esprimere il mio pensiero, anche perché in un momento come questo in cui sembrano smarrite le radici è indispensabile chiarire le basi religiose e culturali che portano alla scelta della solidarietà.
Anzitutto, occorre far notare l’errore di impostazione che sta alla base del dualismo tra il dovuto atto di adorazione a Dio e il servizio al povero.
La Chiesa è luogo unico dove si adora la Presenza, dove si conserva il Corpo e Sangue di Cristo, dove si celebrano i riti liturgici: è il luogo del Sacro. Ma proprio per questo, e qui il dualismo cade, è per forza di cose anche la casa del servizio a chiunque si trovi nel bisogno.
Da sempre il cristianesimo, partendo dalle parole del Vangelo, ha insegnato l’amore a Dio e al prossimo e ha spinto a vedere nel fratello l’immagine di Cristo. Da sempre i Padri della Chiesa hanno insegnato a rendere onore a Dio e all’uomo. Da sempre la parabola del buon Samaritano è diventata paradigma di vita per il credente.
Non può esserci dunque dualismo tra il dovuto onore da rendere al Dio e il servizio al fratello, perciò non è sacrilego unire queste due cose, ma è sacrilego l’opposto: «la fede, se non ha le opere, è morta in sé stessa. [] Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Giacomo). E questo è, oggi, quello che più la società chiede alla Chiesa.
E adesso passiamo conseguentemente ad un altro aspetto: non c’è Casa del Signore che non sia casa dei poveri. La chiesa è la “casa di Dio” come spesso leggiamo sui frontoni, o è la casa della comunità cristiana?
Quante volte la Scrittura ricorda che Dio non ha bisogno di una casa, Lui che abita i cieli e la terra. La sua presenza non è racchiusa da un luogo. Dove abita Dio? Egli, l’Emmanuele, il Dio tra noi, abita in mezzo al suo popolo. «Siamo noi il tempio del Dio vivente», scrive san Paolo. Tutto il popolo di Dio, la comunità cristiana, è il suo tempio, il luogo dove egli si rende presente. «Qualunque cosa avete fatto ai più piccoli, l’avete fatta a me» (Matteo). Il Signore è di casa con i poveri. È l’essenza del messaggio evangelico.
Ascoltiamo San Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, confermando il fatto con la parola, ha detto anche: “Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare” e “ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l’avete fatto neppure a me”».
Purtroppo, oggi non è più tanto di moda parlare dei poveri. Non lo è certamente sul piano politico. Ovunque si nota una spinta ad una sorta di divorzio dai poveri. Vi è come una spinta politica ed esistenziale a dimenticarli e spesso ad allontanarli dalla vista. Ma, e questo dovrebbe preoccuparci ancor più, anche nella Chiesa si corre il rischio di non comprendere il senso e il valore dei poveri. Che posto hanno i poveri nella cosiddetta programmazione pastorale delle nostre parrocchie, delle nostre diocesi? Spesso sono assenti. Spesso ci affanniamo a trovare strategie pastorali, a elaborare piani pastorali, e magari tralasciamo quei segni che Gesù stesso ha indicato essere il suo sacramento.
Qual è il rapporto tra Chiesa casa di Dio e casa dei poveri? Per troppi secoli in Occidente abbiamo coltivato l’aspetto ieratico della Chiesa piuttosto che l’ecclesìa, il senso della comunità, come facevano i primi cristiani, come si faceva fino al tempo di San Giovanni Crisostomo, come fanno le comunità di base dell’America Latina. È difficile riacquisire, per la mentalità cristiana, il senso dell’incontro completo di fraternità, spirituale e materiale, tra i battezzati. Le comunità cristiane hanno celebrato liturgie celesti piuttosto che terrene.
Per concludere, un piccolo segno concreto, al di là delle parole. Presso il nostro Santuario del Calcinaio, luogo che esprime magnificamente il senso del “sacro”, anche nella sua struttura architettonica, che evoca la “tenda” dove il popolo ebreo custodiva “la Presenza” e che è luogo dove Maria ha voluto manifestare i suoi prodigi, ogni giorno si celebra la S. Messa e ogni giorno si celebra la “frazione del pane”, quello eucaristico e quello materiale per sostenere le famiglie in difficoltà. Proprio dopo la Celebrazione Eucaristica, si provvede, all’ingresso della Chiesa, alla divisione e distribuzione di quanto i volontari raccolgono presso i supermercati di zona.
I primi cristiani, dopo aver rivissuto il ricordo della Sacra Cena e la fractio panis provvedevano alla distribuzione del pane ai fratelli bisognosi. Non è profanazione del luogo sacro, è anzi un servizio che completa, concretizza, valorizza il suo significato.
Io ricordo, negli anni postconciliari, di essere stato con un gruppo di giovani cortonesi a Taizé, la stupenda, ecumenica esperienza di Frère Roger, e di avere dormito nella chiesa che tutta la notte era destinata alla Adorazione Eucaristica, mentre fuori un forte temporale aveva scardinato la tenda che avevamo piantato.
Don Ottorino Cosimi
Parroco del Calcinaio