Poche righe per dire la mia sulla questione “dei generi” che a quanto vedo comincia a essere presente un po’ ovunque, anche sulla “piazza” di Facebook. Sapete cosa penso? Che non è un problema né giuridico, né educativo, né linguistico, né mediatico, né etico ma ANTROPOLOGICO. Significa che noi stiamo assistendo allo scontro di due modi di intendere l’essere umano. Il primo è quello di intendere l’essere umano come ci è stato tramandato dai nostri padri, dalla nostra tradizione: la dignità della persona, l’importanza della persona nel suo essere corpo e spirito, materia e pensiero, per cui il mio corpo mi parla di come io sono dentro, il mio essere maschile o femminile rivela una realtà profonda, ha importanza anche per come ragiono, per come vivo, per come affronto la realtà, per come educo i miei figli.
Il secondo viceversa intende fondare un’altra antropologia, quella che afferma l’indifferenza intesa come il “non differente”: oggi è uomo, domani è donna, poi è lesbica, dopo ancora gay, dopo domani è trans (sono stati classificati oltre 50 generi), la realtà è che si vuole arrivare alla totale indifferenza, in cui non c’è più un altro da te, ci sei solo tu.
Il modo di concepire una realtà antropologica dell’uomo tanto in contrasto con quello tradizionale, oggi è possibile anche grazie alla tecnologia. Prima per fare un figlio ci volevano l’uomo e la donna, con la fecondazione assistita non è più necessario. Faccio un esempio volutamente estremo: abbiamo il donatore americano bello alto biondo che si masturba in una stanzetta di laboratorio e dona il seme, abbiamo poi la donatrice anche lei alta bella e bionda che dona l’ovulo, poi ancora abbiamo la morta di fame in India che affitta l’utero le diamo 5 o 6mila euro, le ficchiamo dentro l’embrione e dopo nove mesi la pop star di turno o il solito riccone si prende il bambino così tutto contento va a dire in giro che è suo. Non serve più l’alterità! Ma questo è ancora un passaggio intermedio perché poi alla fine non ci sarà più bisogno nemmeno di questi donatori sconosciuti… “faccio tutto da me, mi clono” chi è l’altro? Io non lo voglio l’altro! Faccio tutto da me.
Davanti ad una concezione antropologica del genere i rischi sono evidenti. La mia personalissima speranza è che prevalga quell’antropologia che io definirei “ecologica” nel senso più naturale del termine, un’antropologia fondata sulla differenza che significa incontro e accoglienza, un’antropologia che è figlia di un Dio che non è singolo ma relazione.