Circa tre anni fa in questa stessa rubrica, recensendo l’ultima fatica letteraria di Enzo Sinigaglia (Eclissi – Nutrimenti Edizioni), ebbi modo di accennare al suo esordio letterario, apparso per la prima volta nel lontano 1985. Si trattava de Il pantarèi, “metaromanzo sul romanzo novecentesco che raccolse ottime critiche, ma troppo pochi lettori”, così mi esprimevo allora, con una sintesi che tuttora mi pare possa racchiudere il senso essenziale dell’opera.
Ebbene, quel libro ha ritrovato la strada del ritorno, offrendo a se stesso e soprattutto al pubblico dei nuovi lettori una seconda occasione. Il merito non è solo dell’insondabile mano del destino, ma soprattutto di una casa editrice, TerraRossa, costituita da persone coraggiose e, per loro stessa ammissione, un po’ folli che si sono messe in testa di compiere un’impresa meritoria e, visto il contesto italico attuale, direi addirittura commovente e cioè “cercare di proporre libri diversi da quelli che il pubblico si aspetta, sforzarsi di formare lettori pensanti e consapevoli, perseguire un’idea di letteratura che sondi le possibilità del linguaggio e quelle dell’invenzione” (chapeau!).
Ora però torniamo al libro. Dico subito che definire il genere, dare conto dello stile, riassumere le numerose suggestioni di cui il testo è portatore è oggettivamente difficile. Si tratta di un’opera complessa, stratificata e con molteplici livelli di lettura che si intersecano tra loro. C’è la storia d’amore, un amore al tramonto per la precisione, che pur restando sullo sfondo influenza l’intera narrazione. Ci sono i riferimenti culturali, sia quelli espliciti che attengono al lavoro del protagonista che con la letteratura ci vive o almeno prova a farlo, sia quelli intrinseci alla scrittura che (a mio personale giudizio, s’intende) sono legati all’epoca della prima pubblicazione e che oggi, a chi come me ha ormai qualche anno sulle spalle, appaiono in filigrana, come fossero filtrati attraverso un velo vintage e un po’ malinconico. C’è infine il tema dell’attrazione erotica nelle sue svariate forme e direzioni, trattato con una sorta di sfrontata delicatezza.
Insomma, un piccolo classico ritrovato che vale la pena di leggere oggi ancor più di ieri. Un’opera importante che porta bene e con orgoglio i segni del tempo, simili a rughe leggere che, come accadeva un tempo alle grandi dive del cinema, invece di imbruttirla ne sottolineano fascino e carattere.
Termino come al solito riportando la sinossi del libro direttamente dal sito della casa editrice:
“Daniele Stern è un giovane collaboratore editoriale che viene incaricato di redigere una sintetica storia del romanzo del Novecento per una “Enciclopedia della Donna”. Un lavoro nel quale si getta a capofitto, cercando di tenere lontano il pensiero della moglie che lo ha lasciato per un altro, e della quale è ancora innamorato, sebbene continui a essere molto attratto anche dai ragazzi. Assistiamo così alle sue scorribande senza meta, tra una pagina su Proust e una su Joyce, Kafka, Faulkner e gli altri autori che hanno rivoluzionato il romanzo moderno, mentre la tentazione di scriverne uno lui stesso si fa di giorno in giorno più forte.
Pubblicato nel 1985, Il pantarèi è un’opera metaletteraria sulle inesauribili possibilità della scrittura, una risposta alla domanda sulla morte del romanzo che già a quei tempi circolava con insistenza fra gli intellettuali, ma è anche una storia sull’instabilità sentimentale ed emotiva, sull’ambiguità dell’eros e la meravigliosa inafferrabilità della vita.” s New Roma