Neri Marcorè saluta il pubblico di Cortona, dopo la seconda serata di tutto esaurito del suo “Quello che non ho”, tra applausi a scena aperta e centinaia di mani che battono al ritmo della bella canzone di Fabrizio De Andrè che dà il titolo allo spettacolo.
Un’ora e cinquanta, tutti d’un fiato. A raccontare un’Italia, un mondo, pieno di pregiudizi, votato ad un consumismo feroce e distruttivo, dove lo sviluppo non porta progresso, come diceva Pasolini, ed un potere strisciante ha addormentato la coscienza critica di tutti.
Sulla scena quattro chitarre e quattro voci, quella dell’attore marchigiano, Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini ed un affresco quasi surreale, a tratti ironico, della nostra società che con le sue pericolose contraddizioni ha distrutto l’etica e il paesaggio.
Si ripropone, dunque, Neri Marcorè nella veste scenica che sembra preferire, quella di attore e cantante confermando il suo impegno civile e proseguendo nella proficua collaborazione con il regista Giorgio Gallione con il quale ha portato sul palco, con successo, altri testi di teatro-canzone.
L’ispirazione, questa volta, viene da Pierpaolo Pasolini, con “La rabbia” e i suoi “Scritti corsari” e da Fabrizio De Andrè e le “Anime salve”.
“Due voci fuori dal coro- dice Marcorè- che negli anni settanta, senza pregiudizio, ebbero il coraggio di far sentire la loro voce.”
“Non si tratta di un operazione nostalgica o celebrativa- ci tiene a precisare Marcorè, che pure dedica lo spettacolo a Pasolini.
“Quello che sbalordisce- continua Marcorè – è la sorprendente attualità dei temi della loro denuncia che, a distanza di 50 anni restano sempre drammaticamente gli stessi e diventano spunto, in questo spettacolo, per una riflessione sulla nostra condizione attuale di uomini nonché di slancio positivo verso un cambiamento di rotta urgente e necessario!”
Un mosaico di musica e parole che non può non lasciare nel pubblico, sospesi, una serie di brucianti interrogativi sul presente instabile ed il futuro incerto di questa nostra epoca.
“Sono scomparse le lucciole”… diceva Pasolini in un suo articolo sul Corriere della sera del febbraio 1975, denunciando quella dissoluzione morale, politica e sociale iniziata negli anni sessanta e mai fermata.
“Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante…- scriveva Pasolini-sono ora un ricordo, abbastanza straziante del passato.”
E’ sparita, dunque, la bellezza dal mondo, secondo Pasolini.
Ma Neri Marcorè “smentisce il Profeta” e chiude il suo spettacolo affermando che le lucciole sono tornate e che spegnendo qualche faro di auto e qualche lampione, possiamo ancora vederle, di notte, nella campagna, brillare ai margini dell’oscurità.