Mentre tutti parlano, giustamente, della prima donna astronauta italiana (da ricordare che la prima che intraprese un viaggio simile fu Valentina Tereskova, nel lontano 1963), in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Un tema molto importante che ci riguarda tutti e per questo è sempre più preso in considerazione negli ultimi anni, anche se spesso utilizzato solo come slogan da rivendere nelle campagne elettorali.
Il problema è… che ci sono dei problemi, e non sempre quanto promesso dalla politica arriva davvero.
Ad esempio i “17 milioni” (divenuti poi 16 milioni e 450 mila) previsti per il biennio 2013/2014 dalla legge 119, soldi che dovevano integrare e non sostituire le risorse, sempre più scarse, dei centri antioviolenza italiani. Di questi soldi non s’è vista, nella realtà, neanche l’ombra e i centri antioviolenza sono ancora in attesa di quello che è stato promesso.
Proprio oggi l’on. Martelli, consigliera Pari Opportunità del Governo, illustrerà le modalità e le cifre stanziate per il prossimo anno, ma l’incertezza continua a regnare sovrana, soprattutto per una serie di criteri inseriti per accedere al finanziamento che rischiano di burocratizzare troppo l’iter con il rischio che tutto si concluda con un nulla di fatto. Ma ci sono anche altri elementi che rischiano di pregiudicare il lavoro svolto finora dai centri: ad esempio l’obbligo di apertura 365 giorni l’anno, con segreteria telefonica disponibile 24 ore su 24, traguardo ambizioso e sacrosanto, ma che necessita di risorse.
Fortunatamente il fenomeno della violenza sulle donne è in calo, 8% in meno rispetto all’anno scorso (dati forniti dal Ministro Alfano) e senza dubbio il grande impegno di associazioni e soggetti vari nel sollevare il problema e porlo all’attenzione mediatica e politica ha prodotto alcuni frutti, sui quali bisogna continuare a investire.
C’è però un’altra violenza di cui non si parla quasi mai, ma che va combattuta: quella che i mass media compiono tutte le volte che descrivono un femminicidio. Una violenza psicologica e morale che urta la sensibilità e la sofferenza di chi legge, con un linguaggio e un ‘gergo’ che non sempre è rispettoso della donna che subisce violenza. In alcuni casi, usando termini come ‘raptus di gelosia’ e simili, si tende infatti a offrire una sorta di ‘attenuante’ alla violenza, dimostrandosi ancora ancorati a una mentalità antica.
Ma d’altronde questa è la nostra nazione: soldi promessi e poi ancora fermi, politici impreparati che si fanno belli con qualche promessa, giornalisti che con un termine benevolo potremmo definire ‘poco attenti’. E in tutto questo, nonostante la doppia preferenza di genere nel consiglio regionale calabrese entrerà una sola donna. La battaglia per la parità e il rispetto della donna è prima di tutto culturale, ed è ancora tutta da combattere