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Incontri inattesi a Chiang Mai, nord Thailandia, meta turistica internazionale

Sorpreso ormai non più di tanto, nel gruppo di persone con guida locale parlante inglese l’unica di tale lingua madre era britannica; due studenti giovanissimi erano messicani, cinque peruviani, nonno nonna figlia e nipoti parlanti spagnolo dai lineamenti estremo orientali, mescolati a noi italiani formavamo una comitiva, per la mia esperienza, insolita. Una ventina d’anni fa, in tour nel Nord Thailandia, eravamo due italiani e otto di lingua inglese, oceanici: neozelandesi e australiani. Che dall’Oceania giungessero in massa nella “giocheria” mondiale era risaputo. Tra costoro, anziani pensionati a consumare il loro tramonto, e giovani impegnati nel gran tour post laurea. Invece non  m’era capitato incontrare persone distanti trentotto ore di viaggio, come i ragazzini messicani nell’escursione classica da Chiang Mai al Triangolo d’oro. Prova del fascino attrattivo di quei luoghi, del clima, della qualità della vita,  per viaggiatori da tutto il mondo. Essendo combinate molte giornate festive a ridosso di Capodanno, prevedendo mescole linguistiche straordinarie, ci siamo limitati a partecipare a una sola escursione organizzata da operatori turistici. Mentre, per fatti nostri, ogni giorno con autisti diversi abbiamo vissuto gran parte delle mete confusi tra  la gente del posto, in festa. Più affollati: i templi e il giardino reale, Royal flora nel palazzo Bhubing. Il richiamo religioso di folle consentiva osservare, senza l’assillo delle guide, il contegno dei fedeli. Come nel panoramico tempio Doi Suthep, sopra Chiang Mai, a oltre mille cinquecento metri di altitudine, circondato da foreste. Luogo sacro, amalgama di religioni presenti nel sudest asiatico. Più venerate le statue del Buddha. Coperto da stole dorate, il Buddha  è vestito nella stagione anche qui considerata  invernale, pur nella calura per noi estiva. Seguivano nella venerazione statue di monaci scomparsi in odore di santità, e un olimpo di divinità e figure mitiche religiose buddiste, induiste, confuciane, descritte nel libro “Ka”, di Roberto Calasso. A scelta, il devoto si prostrava al suo idolo, offrendo bastoncini profumati accesi, serti floreali e foglie d’oro. Altri pregavano facendo suonare, una ad una, lunghe teorie di campane bronzee di media grandezza, o percuotendo tamburi e gong rituali. A quest’ultimi strumenti, più rumorosi, erano applicati riduttori di sonorità. Onde evitare che la devozione si trasformasse in schiamazzo. Di fatto,  nonostante la massiccia adesione, tutto scorreva in sommessi brusii. Da estranei ammiravamo quell’esito spettacolare: presenze composte, a basso impatto sonoro. Nello scorrimento lento e silenzioso i fedeli non sembravano disturbati dai turisti, ai quali era chiesto solo il rispetto della quiete e di togliersi le scarpe. Stessa pacifica calca umana, in processione intorno allo stupa o all’interno del tempio-pagoda, notavamo al Wat Phra That di Lampang Luang. Circondato da vecchie mura ben conservate che racchiudono anche un antico tempio ligneo. Fuori le mura sostano carrozzelle trainate da cavallini, oggetto di foto ricordo, e adibiti a non saprei quali gite. La località si presta anche ad ameni soggiorni, nella cittadina adiacente il fiume. Comune ai più noti e frequentati templi è il mercato attiguo con ampia tipologia commerciale: vestiario, cibo di strada, gadget di cui sono ingordi i turisti. Tipica, a Lampang Luang, è la produzione e vendita di ceramica fatta a mano, tra cui un galletto. Del quale non conosco il significato simbolico. Presente nelle rivendite di cocci e anche in empori all’aperto di arredi da giardino. Dove trionfano tempietti montati su colonnette cementizie. Animisti e superstiziosi, i thailandesi, nel cortile di casa di fronte all’albergo o al negozio, collocano un tempietto pagoda, su cui posano ogni giorno: acqua frutta fiori e bastoncini profumati. In modo da ingraziarsi gli spiriti del luogo, perché  se trascurati potrebbero vendicarsi procurando guai familiari o aziendali. Qui al Nord, nei cortili, al fianco dei tempietti sono frequenti galletti colorati manufatti. Il Wat Phra Kaeo Don Tao, a Lamphun, è altrettanto venerato, avendo ospitato per 32 anni il Buddha di smeraldo, oggi a Bangkok. La piccola città ha numerosi templi e un museo, attestanti un passato prestigioso attraversato da varie influenze, compresa la birmana. In antico, il Nord Thailandia aveva il suo regno, Lanna (distinto da quello del sud), soggetto a invasioni  di vari popoli, compresi i Khmer dal regno di Angkor. Lasciando tracce nei loro passaggi. Tracce in gran parte incluse con cura nei contesti artistici e architettonici oggi superstiti. Salvo il caso visto a Feng, parco naturale caratterizzato dai soffioni boraciferi. Ai margini d’una specie di autogrill, con annessi soffioni nelle cui acque i viaggiatori bagnano i piedi, cautamente, o vi lessano uova, c’è un bel tempio abbandonato di ispirazione Khmer. Circondato da sterpaglie, senza crepe apparenti sulla  massiccia struttura lapidea, sovrastata da imponenti pinnacoli a forma di pigna, nei quali è evidente la rappresentazione stilizzata del monte Meru, l’Olimpo Indù. In attesa, com’è accaduto in tempi simili ad Angkor, che volenterosi bonzi lo riaprano al culto. Quell’abbandono striderebbe con la cultura tollerante thailandese, terzo paese al mondo per alta percentuale di lettori (meglio non sapere dove è classificata l’Italia!). Laddove sono ben conservati e frequentati circa 300 templi a Chiang Mai, molti inclusi nell’affascinante reticolo di viuzze del centro storico. O, proseguendo verso il Triangolo d’Oro in provincia di Chiang Rai, sono presi d’assalto dai turisti e considerati dai thailandesi luoghi di culto pure edifici strambi costruiti di recente come il Tempio Bianco (Wat Rong Khun o White Temple all’inglese) e la Casa Nera (Baan Si Dum – Museo Bandum), a poca distanza tra loro. Il mistero dell’abbandono del tempio angkoriano di Feng prosegue anche sulle guide ufficiali e su Internet. Dov’è possibile cliccare i nomi riportati in questi appunti ottenendo informazioni di dettaglio soddisfacenti molte curiosità, eccettuato il vecchio tempio, vittima pure dell’obbrobrio edilizio dell’autogrill. Non che scandalizzi tale presenza commerciale. (Gran parte dei templi, infatti, sono assediati da negozi e costruzioni  orrende, i bonzi di tutte le religioni hanno il senso degli affari). Però mi domando il motivo della damnatio del vecchio tempio.

Alla partenza per Chiang Mai, m’ero proposto di tornare a far visita a Salvatore,  costruttore della pensione in cui risiedemmo una ventina di anni fa. Al Soi 5, graziosa stradina nel centro storico. Per ricevere consigli sull’escursioni da compiere. Come bellissima fu quella suggerita da Salvatore: nelle foreste di bambù al confine Birmano. Non lontane dagli accampamenti del generale Khun Sa, il “Re dell’Oppio”. Dove scivolammo in un tranquillo fiume sopra una zattera di bambù.  La guida, non so quanto fantasiosamente, disse che nelle foreste intorno v’erano nascosti Top Gun statunitensi, lanciatisi dagli aerei schiantati nelle foreste per farla finita con la guerra in Vietnam. Trascorremmo una notte in una capanna a osservare, nel buio totale, il passaggio della cometa di Halley, sotto un cielo stellato da cui pareva essere avvolti. Assistemmo a una danza tribale, con gente disposta a spirale dietro a due suonatori di strumenti primitivi, a corda e a fiato, a oltre duemila metri di altitudine. Nello spiazzo illuminato da lumi stentorei a olio, anziani  sorridenti invitavano a bere un distillato di frutta alcolico, forte e odoroso di fumo, fatto alla buona.  Spettacolo al quale seguì una pipata d’oppio dei giovani compagni di viaggio. A me fu proibito partecipare dal compagno d’avventura (anche se, una volta letta sulla guida l’esperienza paradisiaca che avremmo perso, più volte ci siamo riproposti di tornare su quei passi. Ma, si sa, ogni lasciata è persa!). La guida aveva assicurato che l’indomani non avremmo avuto il trip da oppio…però se il giorno seguente, circondato da quei fumati, non mi fossi messo all’opera a raddrizzare la zattera di bambù saremmo marciti per ore nelle acque del placido fiume. L’oppio per residenti e turisti, fu detto, rientrava nei patti tra le autorità e le popolazioni montane convertite al turismo e a coltivare  ficus benjamin al posto delle piantagioni di papavero. Completò il pacchetto, indicato da Salvatore, una passeggiata sul cestello in groppa a elefanti, che, svelti e sicuri, marciarono tranquilli sull’orlo di precipizi. Sui depliant turistici, ancor oggi, si offrono simili escursioni con varianti facoltative: il rafting su zattere di bambù o su gommoni, e fare il bagno agli elefanti. Stavolta, il nostro gruppo ha scartato questa escursione. Non rassicurati, come invece fummo allora, dal buon Salvatore. S’è persa traccia dell’ex assaggiatore siciliano di oli d’oliva, che scelse di finire i suoi anni al caldo. Di per se sarebbe stata una notizia malinconica, ma non in quel contesto in cui si crede alla circolarità della vita nelle reincarnazioni. Se deceduto, Salvatore potrebbe essersi già reincarnato in uno dei tanti marmocchi che la Thailandia ha la ventura di sfornare in quantità impensabili nelle nostre vecchie società postindustriali, prostrate e disgregate dal globalismo.

Turisti fai da te, ogni giorno abbiamo riempito la vacanza con splendide visite.

Chiang Mai e dintorni hanno mille attrazioni, ben organizzate e curiose.

Parchi tematici, come quelli dedicati al recupero di elefanti in difficoltà (di moda, al momento, era partecipare al bagnetto degli elefanti; dal gossip veniva la notizia della presenza dell’ex compagna di Briatore, la Gregoraci, intenta a quella faccenda). O il parco per il recupero delle tigri, meno disposte, immagino, a farsi fare il bidet. In altre parti delle foreste, sono ricostruiti villaggi etnici, con capanne, attrezzi e persone agghindate alla maniera di varie etnie. Per poche centinaia di bath è possibile incontrare le cosiddette “donne giraffa”. Poverette a cui, sin da piccole, venivano applicati al collo anelli che ne deformano il collo, allungandolo. Speriamo che l’attrazione turistica per un fenomeno antropologico del passato non incentivi  altre giovani donne a quell’assurda tortura. (Amo i popoli orientali, ma ne temo la tentazione cinica: combinare business ed esigenze occupazionali di giovani povere). Fantastica s’è rivelata la visita ai giardini floreali intorno alla residenza  reale, poco fuori città. Esperienza sensoriale ed estetica di rara bellezza. Da scatenare il desiderio di scattare fotografie anche al più tiepido visitatore. All’aperto, o in condizioni climatiche indotte, si squaderna alla vista un campionario di flora, non solo tropicale, estraniante, in quei momenti, da ogni altro pensiero se non il rapimento nella magnificenza della natura, in sinfonie compositive prossime a perfezioni assolute.  Di notevole importanza cognitiva risulta anche la visita allo zoo. Presenti migliaia di animali (circa settemila), compresi due panda concessi per dieci anni dalle autorità cinesi. Evidentemente, convinte dalla serietà di quella gestione. Inesperto di zoo, senza opinioni sull’opportunità di tenere in cattività degli animali, tuttavia la bravura degli organizzatori non è in discussione. In poche ore, il visitatore può osservare specie animali senza segni di stress in ambienti salubri e ben tenuti. I numerosi mammiferi sembrano occupati a osservare e farsi osservare in giochi di sguardi tranquilli. O riposano nelle tane. Alla stregua del cagnolino di casa Piero, o dei gatti, pur liberi, che sonnecchiano in angoli disparati domestici. Lo zoo offrirebbe anche spettacoli  serali, a cui non abbiamo partecipato. Preferendo serate al ristorante, o seguendo impulsi turistici in shopping demenziali. Non mancando mille tentazioni. Inclusi il Night Market, il Warorot Market e le numerose manifatture circostanti la città. Introdotti nei laboratori di sete, ombrelli di carta, lavorazioni in pelle, argenti e pietre preziose. Situazioni, facile immaginare ad usum turistico, che svelano procedimenti produttivi. Lo sforzo richiesto è non cadere a eccessive tentazioni di acquisto. Perché a Chiang Mai, tra le tante cose da vedere che richiamano curiosi da tutto il mondo, è necessario vaccinarsi contro il facile acquisto, nel mare di ninnoli e oggetti artigianali che assalgono il turista quali sirene irresistibili.

fabilli1952@gmail.com

Ferruccio Fabilli

Idealista con molte illusioni. Apprezzo l’umiltà e la buona volontà. Mi dedico a scrivere facendo il ripasso su persone conosciute e fatti vissuti. Noto che la gente non si batte più per i propri diritti. Ha perduto il gusto della lotta, ha delegato ad altri il proprio futuro. Per chi volesse conoscermi meglio ho un blog: www.ferrucciofabilli.it. E per chi volesse interrogarmi direttamente l'e-mail è fabilli1952@gmail.com

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