E’ passato un po’ di tempo dalla mia ultima recensione, dal mio ultimo punto di vista, dal mio ultimo svisceramento, dalla mia ultima analisi di quel genere cinematografico che dal 1972 al 1981 ha imperversato nelle sale cinematografiche italiane con pellicole di immenso valore ma anche con pellicole assolutamente improvvide ed indegne di essere solamente menzionate. Un regista “ border line “, non solo per il poliziottesco, è stato il pugliese Fernando Di Leo, di cui ricordiamo “ I ragazzi del massacro “ o “ Avere 20 anni “ che, per gran parte del film appare una commedia erotica abbastanza scollacciata ma che presenta un finale da film horror e che, proprio per questo e per alcune scene spinte, ebbe molti problemi con la censura e fu pesantemente tagliato ma che poi, con il passare degli anni, divenne un vero e proprio cult.
Di Leo girò un solo poliziottesco, ed anche in questo caso si distinse per l’ anomalia della pellicola in quanto sappiamo tutti come la figura predominante di questo genere fosse il Commissario che si trovava costretto a dover lottare non solo contro il bandito di turno, ma anche contro quei giudici che applicavano troppo rigorosamente la legge, lasciando il delinquente libero di delinquere e costringendo, poi, il Commissario ad alzare troppo spesso le mani o a premere il grilletto della sua Calibro 9 anche quando non avrebbe dovuto, con troppa facilità, fermo restando che la sua figura rimaneva di principi sanissimi. Ne “ Il poliziotto è marcio “, invece, abbiamo l’ esatto contrario, con un Commissario corrotto, al soldo di spietati delinquenti senza scrupoli, che non si accontenta di percepire quattrocentomila lire al mese dallo Stato, ma dalla malavita prende cinquanta milioni all’ anno per il contrabbando di caffè e sigarette e poi per il traffico d’ armi, con sessanta milioni da parte, con un’ amante di lusso e con gli agenti che si schiaffano sull’ attenti davanti a lui. Il Commissario in questione risponde al nome di Domenico Malacarne, un nome che è tutto un programma, interpretato da Luc Merenda, che si cala molto bene nei panni del Funzionario corrotto e che dovrà “ obbedire “ ai malavitosi di turno, nelle cui vesti troviamo Raymond Pellegrin e Richard Conte, Pascal e Mazzanti i nomi dei personaggi da loro interpretati. Salvo Randone, nei panni di un onesto Maresciallo prossimo alla pensione, è il padre di Domenico Malacarne con il quale romperà ogni rapporto dopo aver saputo proprio dal figlio dei suoi malaffari, Rosario Borelli è l’ agente Garrito, come lui corrotto e che, nel finale del film, riserverà un’ amara ma non inaspettata sorpresa al suo capo, Vittorio Caprioli interpreta il Cavaliere Esposito, un simpatico napoletano che vive in una baracca fuori città che sarà testimone di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, Delia Boccardo è la donna di Malacarne che non è al corrente dei loschi affari del suo compagno e che, come i precedenti due personaggi, sarà destinata ad una brutta fine. Tutto questo porterà Malacarne ad un tardivo moto di pentimento, eliminando chi ha eliminato, ma sarà troppo tardi perché il destino del poliziotto marcio è oramai segnato.
Un film intriso di violenza e del pessimismo più cupo dall’ inizio alla fine, che non ti fa mai immaginare, scorrendo la pellicola, un finale diverso da quello che poi sarà non certo un “ happy ending “. Proprio per il tema molto delicato, il film, realizzato nel 1974 con le musiche dell’ immenso Luis Enrique Bacalov, ebbe notevoli problemi e rimase introvabile per oltre trenta anni.