Augurandomi che la prima puntata di questa mia nuova rubrica sia stata di vostro gradimento, oggi vi scriverò di un altro film i cui protagonisti furono l’inossidabile commissario Tanzi, interpretato da Maurizio Merli e Vincenzo Moretto, detto Il Gobbo, interpretato da Tomas Milian. Oltre a loro, troviamo Gianpiero Albertini, Arthur Kennedy, Maria Rosaria Omaggio, il già ricordato, nella precedente puntata, Luciano Catenacci, oltre a Biagio Pelligra, un nome che a molti di voi non dirà niente, ma che in quegli anni ed in questi generi di film, interpretava, insieme a Claudio Undari, in arte Robert Hundar, quest’ultimo protagonista in tantissimi spaghetti western, sempre il ruolo dello scagnozzo malavitoso e che, quasi sempre, finiva crivellato di colpi.
Il film di cui fra poco leggerete è Roma a mano armata, anno 1976, con la regia di Umberto Lenzi. Questo film rappresenta, in qualche modo, il seguito di Roma Violenta, anno 1975, con la regia di Marino Girolami. Ma forse, non tutti sapete che nel 1973 uscì un film, il cui protagonista era Franco Nero, e si intitolava La polizia incrimina, la legge assolve, presumibilmente, per molti critici dell’epoca, il primo vero film poliziottesco, in cui nasce il “ commissario giustiziere “ che, non avendo fiducia in ciò che la legge faceva, si faceva giustizia a modo suo. Da qui, poi, un’infinità di film del genere, alcuni di buon livello, altri davvero scadenti.
Tornando a Roma a mano armata, vi voglio raccontare un po’ di curiosità riguardo a questo film: innanzitutto, si dice che fra i due protagonisti non corresse tanto buon sangue, nonostante fosse stato Tomas Milian a volere proprio Maurizio Merli nel ruolo del commissario. Si narra che, in una scena in cui il cubano di Roma doveva picchiare, ovviamente per finta, il biondo Maurizio Merli, lo avesse, invece, riempito di calci veri e propri quando questi si trovava a terra, provocandone la reazione infuriata.
Visto il clima dell’epoca molto pesante, il film, alla sua uscita, ricevette molte critiche negative, venendo accusato, come molti altri film di genere, di fascismo, vista la violenza per molti “ ingiustificata “ del buono verso il cattivo. Addirittura, alla prima assoluta, con Maurizio Merli in sala ad assistere, si dice che il pubblico avesse fischiato il personaggio del commissario, provocando la sua uscita dal cinema in lacrime; ma ricevette anche critiche positive, se non altro per la spettacolarità di tante scene d’azione. Con il passare degli anni, comunque, il film fu ampiamente rivalutato, venendo considerato come uno dei migliori poliziotteschi mai usciti.
Leonardo Tanzi è un commissario dai metodi poco ortodossi giustificati, secondo lui, dal fatto che i delinquenti che arresta, due giorni dopo se li vede fuori. Accanto a sé ha il fido Caputo, interpretato da Gianpiero Albertini che, pur non approvando del tutto i suoi metodi, è sempre dalla sua parte. Leonardo ha una compagna, Anna, alias Maria Rosaria Omaggio, che interpreta il ruolo di un’educatrice/magistrato dei minori con problemi alle spalle. Due di questi, minorenni e arrestati dal “ commissario di ferro “ per uno scippo, due giorni dopo vengono messi in libertà proprio con il parere favorevole di Anna e, dopo aver compiuto uno scippo ai danni di un pensionato, finiscono investiti da un camion, morendo entrambi sul colpo. Questo provoca un primo litigio fra Leonardo ed Anna, con Caputo che, senza riuscirci, prova a porre rimedio. Ma la lotta di Tanzi si incentra, soprattutto, verso un nemico “ oscuro “, tale Ferrender, capo del clan dei Marsigliesi, e titolare di diverse bische clandestine. Nel frattempo, arresta Savelli, un uomo di Ferrender, nel cui ruolo troviamo Biagio Pelligra, ma il suo avvocato lo fa rilasciare, provocando in Tanzi un senso di profonda disillusione verso la giustizia. Allora, Tanzi incentra la sua lotta su Vincenzo Moretto, “ Il Gobbo “ , cognato di Savelli, portandolo in commissariato dopo averlo incastrato, avendo lui messo nel cruscotto della macchina un sacchetto di droga: “ Se questo non è bicarbonato, per te si mette male, Moretto “ e proprio in commissariato torna ai “ vecchi metodi “ per farlo parlare. Dopo essere stato menato, Vincenzo va in bagno e si taglia col cinturino dell’ orologio inguaiando, in tal modo, Tanzi, che viene trasferito all’ Ufficio Licenze Pubblici Esercizi, dove, però, resiste solo due giorni. Pochi giorni dopo, mentre la sta aspettando al ristorante, la fidanzata Anna viene rapita dagli uomini del Gobbo, viene rinchiusa e legata in una macchina in uno sfasciacarrozze e quasi viene stritolata; viene ricoverata in ospedale in stato di choc dove non si ricorda o finge di non ricordarsi nulla. Nella mano, però, le viene lasciato un proiettile e Tanzi, capendo chi sia stato il mittente, va a casa del Gobbo, costringendolo ad ingoiarlo e lui, senza batter ciglio, lo butta giù. Il film prosegue con Tanzi che uccide un “ figlio di papà “, dopo che questi, insieme ad alcuni amici, violenta una ragazza e picchia selvaggiamente il suo compagno. In questa fase del film c’è una scena molto simile a quella di “ Milano odia la polizia non può sparare “ in cui Tomas Milian faceva linguacce ad un finestrino della macchina, spaventando la coppia; stessa cosa farà il ragazzo poi ucciso. Tanzi sopraggiunge sul luogo della violenza, capisce dove può trovare i violentatori e si reca al circolo monarchico. Dopo una colluttazione, parte un breve inseguimento in macchina, ad altissima velocità, come era tipico dei film del periodo: i ragazzi, sceso il commissario dalla macchina, tentano di investirlo un paio di volte, ma lui da terra spara ed uccide Stefano, il ragazzo alla guida. Il vice Questore Ruini, interpretato da Arthur Kennedy, non approva i metodi di Tanzi, manifestando a Caputo che lui avrebbe agito in maniera diversa e, per tutta risposta, si sente dire che sì avrebbe agito in maniera diversa, ma probabilmente c’avrebbe rimesso le penne. Ruini tace …. Una donna chiede l’aiuto di Tanzi per rintracciare sua figlia entrata nel tunnel della droga e segregata da Tony Parenzo, alias Ivan Rassimov. Tanzi rintraccia Parenzo e dopo il solito pestaggio, dopo aver ritrovato la ragazza in overdose, ragazza che poi morirà, lo costringe a parlare ma, mentre questi sta per fargli rivelazioni su Ferrender, da una BMW bianca parte un colpo di proiettile che lo uccide sul colpo. Il Gobbo ha colpito!
Rapina in banca: fra i tre rapinatori, c’è anche Savelli, che rimarrà ucciso da Tanzi insieme ai suoi complici, passato attraverso un condotto dell’aria condizionata insieme ad un tiratore scelto.
E siamo alle fasi finali: dopo aver mietuto altre vittime, il Gobbo torna al suo rifugio, un capannone il cui intestatario risulta essere Ferdinando Gerace, un losco figuro che si era rivolto a Tanzi per farsi intestare la licenza di un pubblico esercizio. Insieme ai suoi complici viene arrestato, mentre Tanzi fa irruzione nel capannone. Viene, però, preso di sorpresa dal Gobbo, che lo butta a terra e gli chiede, ironicamente, se “ non gli dispiaccia tornare ai vecchi metodi “, dicendogli anche che il cadavere che avevano trovato poco tempo prima apparteneva a Ferrender, ma mentre lo sta pestando arriva Caputo che fa per sparargli, volendolo uccidere come “ un cane rognoso “, ma Tanzi, per una volta ligio alle regole, lo fa desistere. Caputo sta per mettergli le manette, ma il Gobbo tira fuori una pistola e lo uccide. A questo punto Tanzi, accecato dalla rabbia, spara al Gobbo in fuga e lo uccide, vendicando il collega.
Rispetto al film analizzato la settimana scorsa, si può riscontrare molta meno violenza, trovando, invece, molte più analogie col filone poliziottesco di quegli anni.
Stefano Steve Bertini