Con il film di cui vi vado a scrivere oggi torniamo ad uno dei grandi classici, ad una di quelle che, per me, si può definire un’ accoppiata vincente: Umberto Lenzi/Maurizio Merli. Il poliziottesco di oggi è abbastanza crudo, con molte scene tipiche dei poliziotteschi dell’ epoca, fatte di inseguimenti, morti ammazzati, vendette, morti violente e scazzottate, ma anche con quel pulviscolo di sentimento che ti fa scendere una lacrima. Il film è Napoli violenta, con l’ intramontabile Maurizio Merli, nel ruolo del Commissario Betti, John Saxon, che interpreta il ruolo del malavitoso Francesco Capuano, l’ attore americano Barry Sullivan, nel ruolo di ‘O Generale, ed Elio Zamuto, nel ruolo del bandito Francesco Casagrande. Le coinvolgenti musiche, un misto fra tarantella e film d’azione, sono di Franco Micalizzi. Vi anticipo che la scena cult di questo film, e forse una delle più belle in assoluto, è quella dell’ inseguimento lungo la funicolare fra Betti e Casagrande.
Il film inizia con il ritorno di Betti a Napoli, un trasferimento da lui non richiesto, visto che le uniche due città dove non sarebbe voluto tornare erano proprio Napoli e Roma e riceve subito un caloroso saluto da ‘O Generale che lo avvisa che Napoli è una città pericolosa. Dopo pochi minuti, Betti entra in azione a modo suo, prendendo a sganassoni un mariuolo che tentava di rubare da un’ auto ed “ accompagnandolo “ in commissariato. La criminalità a Napoli dilaga: una coppia, all’ uscita da un ristorante, viene aggredita e, dopo che a casa viene fatto scattare l’allarme, lui viene malmenato e lei portata via e violentata , ma dopo che lei viene ritrovata in stato confusionale, i due preferiscono non sporgere denuncia, pensando allo scandalo che ne verrebbe fuori. E intanto, Betti fa la conoscenza di Capuano, che farà il doppio gioco con ‘O Generale e, poco dopo, del Questore che, ovviamente, non approva i suoi metodi, promettendogli Betti che si dimetterà se dovesse fallire. Betti, per cercare di combattere la criminalità, fa infiltrare alcuni uomini nella malavita napoletana; per un po’, il sistema funzionerà, ma poi, quando questi saranno scoperti, ne pagheranno tragicamente le conseguenze. Altra rapina in appartamento: questa volta, una delle due donne sporge denuncia descrivendo minuziosamente l’anello che le era stato rubato e che verrà poco dopo ritrovato grazie ad una soffiata. Betti, intanto, fa la conoscenza di Casagrande, un rapinatore seriale che tutti i giorni deve andare in Commissariato alle 13 a porre la sua firma. Un bambino, Gennarino, entra nelle grazie di Betti: Gennarino ha un padre che è il titolare di un’ autorimessa che non si piega alla “ protezione “ di ‘O Generale i cui sgherri distruggono tutti i negozi intorno, ma risparmiano il suo, volendogli riservare un trattamento speciale. Vengono rintracciati gli autori della prima rapina: uno dei due viene fermato, l’altro muore scappando, restando col collo infilato sul ferro di un cancello. L’ autorimessa del padre di Gennarino prende fuoco, il padre muore, mentre Gennarino si salva, ma resterà invalido. Nel frattempo, varie rapine si susseguono a Napoli, ed in una di queste muore l’ appuntato Albini. Betti sospetta che a compiere queste rapine sia Casagrande, ma non riesce a provarlo per un semplice motivo: tutte le rapine si svolgono poco prima delle una, lontano dal Commissariato, ma Casagrande arriva sempre in tempo per la firma. Come fa? C’è sempre un motociclista che lo aspetta, lo porta con sé ed a velocità supersonica, passando per sensi vietati per gli strettissimi vicoli di Napoli, lo lascia sempre in tempo davanti al Commissariato. Riapre l’officina del padre di Gennarino al cui interno vengono poste delle telecamere che riprenderanno il tentativo di “ protezione “ attuato dagli sgherri di ‘O Generale. A causa di questo, l’agente Micozzi, infiltrato, perderà la vita e stessa sorte toccherà all’ altro infiltrato, Battisti, in due scene, soprattutto quella riguardante Micozzi, piuttosto forti. Intanto, Capuano, più di una volta, rischia la vita a causa degli sgarbi fatti a ‘O Generale, ma, in un modo o nell’ altro, riesce sempre a scamparla. Casagrande colpisce ancora, ma questa volta non la fa franca con Betti che riesce a fermare la moto e qui scatta uno degli inseguimenti più belli nella storia dei poliziotteschi: anche qui ci scappa il morto, anzi la morta, ma, per una volta, non vi voglio raccontare questa scena, vi dico solo che passa per i quartieri popolari e per la funicolare. Gustatevela! In tutto questo, Capuano, temendo per la sua vita, è scappato a Genova, ma grazie all’ aiuto di un Commissario del posto, Betti lo riporta a Napoli dove, sottoposto ad interrogatorio, ovviamente nega di conoscere ‘O Generale.
Scene finali: Capuano si fa lasciare da un taxi al molo di Napoli ma ad attenderlo c’è ‘O Generale con un suo scagnozzo. Capuano viene ferito da ‘O Generale e si nasconde dietro una barca, ormai sembra finita per lui, ma dal buio arrivano tre colpi di pistola che uccidono ‘O Generale ed il suo sgherro: Betti ha fatto, o se preferite si è fatto, giustizia. Il Commissario getta poi la pistola accanto a Capuano facendo ricadere la colpa su di lui, riuscendo a far provare i suoi affari con il camorrista appena ucciso, pur Capuano, ovviamente, negando tutto. Il Questore, alla fine, dà piena ragione a Betti, ma lo stesso Betti, provato per la morte di tre suoi uomini, rassegna le sue dimissioni e chiede al Maresciallo Antinori di riaccompagnarlo alla stazione. Arrivati, però, ad un semaforo, Betti vede Gennarino che sta attraversando la strada, invalido; Gennarino gli sorride e la stessa cosa fa Betti, salvo poi incupirsi. Betti, a questo punto, dice ad Antinori di tornare in ufficio e qui scorrono i titoli di coda.
Un buon film con una buona recitazione, da doppiato, di Maurizio Merli, ma anche gli altri protagonisti non sono da meno. Molte scene forti, tipiche dei veri poliziotteschi dell’ epoca, non fanno mancare la giusta adrenalina dall’ inizio alla fine. Difficilmente, si riscontrano momenti di pausa in quello che si può definire un poliziottesco d’azione. E poi, la toccante scena finale, in un misto fra rabbia e voglia di non lasciarla vinta.
Stefano Steve Bertini