Il poliziottesco che vi vado ad analizzare oggi, “ Milano trema: la polizia vuole giustizia “ non si discosta dai precedenti delle settimane passate: sparatorie, inseguimenti spettacolari , un numero elevato di morti ed il solito Commissario, in questo caso il Commissario Caneparo interpretato da Luc Merenda, che è “ costretto “ a farsi giustizia da sé, non trovando nella legge di quegli anni un qualcosa in cui credere. Ma questo film del 1973, diretto da Sergio Martino, uno specialista del genere, che poi si specializzerà nelle commedie scollacciate, e con le musiche dei fratelli De Angelis, presenta una trama differente. Essendo, quelli, come sappiamo, anni “ particolari “, in cui la giustizia faceva fatica ad arrestare i delinquenti, nascevano molte organizzazioni segrete atte a farsi giustizia e questo sarà il filo conduttore di questo film interpretato, fra gli altri, da Silvano Tranquilli, nel ruolo del Vice Commissario Viviani, Richard Conte, nel doppio ruolo di “ Padulo “ e dell’ insospettabile Dottor Salussoglia, da Lia Tanzi, nel ruolo di una prostituta e dalla bella Martine Brochard, nel ruolo di “ Maria ex “.
Caneparo, un Commissario dai metodi non proprio ortodossi, rientra dal turno di notte ed incontra un carabiniere che sta per andare a svolgere un servizio di scorta in treno a due detenuti per “ 1800 lire in più al mese “ insieme ad altri colleghi. I detenuti, però, uccidono tutti i componenti la scorta, accoltellandone uno e crivellando tutti gli altri e scendono dal treno in corsa. Durante la fuga, fermano una macchina con a bordo un padre con sua figlia, una bambina di pochi anni e prima uccidono il padre e, dopo aver lasciato il suo cadavere per strada, durante la fuga uccidono anche la bambina, in due scene molto cruente. Ormai braccati, si nascondono nel bosco, ma non hanno più scampo e gli viene dato l’ultimatum: i due fanno per arrendersi ma quando uno di loro vede Canepari, alza il mitra, probabilmente in segno di resa, ma il Commissario, ricordandosi delle “ 1800 lire in più al mese “ li uccide a sangue freddo, provocando l’indignazione del suo amico e collega Del Buono il quale gli dice di non approvare i suoi metodi violenti, mentre lui, senza l’uso delle armi, sta per arrivare a scoprire qualcosa di davvero grosso riguardo ad una serie di rapine avvenute nel Nord Italia, dietro le quali sospetta che si nasconda qualche organizzazione molto potente, ma proprio mentre sta per compiere l’ultimo passo, viene freddato con tre colpi di pistola da un killer in pieno giorno.
Caneparo, nel frattempo sospeso dal servizio, indaga per conto suo, prima chiedendo alla vedova di Del Buono se sapesse qualcosa, ma senza ottenere niente, poi infiltrandosi in organizzazioni malavitose. Prima, entra nelle grazie di una prostituta, eliminando a suon di cazzotti il suo protettore, poi tramite un vecchio delinquente soprannominato Monsumèrda cerca di entrare nelle grazie del Padulo, il quale mostra una certa diffidenza, liquidandolo dopo una partita a biliardo. Nel frattempo, fa la conoscenza di Maria ex,la quale vuol fare l’amore con lui, ma dopo averlo portato dentro una villa in cui sono presenti tossici, lui se ne va; Maria Ex è una giovane ragazza con problemi di droga e fidanzata con uno degli uomini di Padulo, il quale parteciperà, insieme ad altri due complici, ad una rapina in banca. Caneparo, intercettando le frequenze di una radio della Polizia, segnala la rapina; scatta l’inseguimento, in cui i tre rapinatori con due donne prese come ostaggio si schiantano contro un albero. Nel frattempo, il Padulo manda due suoi uomini a prelevare Caneparo, perché vuole provarlo come autista e la prova ha successo. Dopo aver fatto conoscenza del resto della banda, Caneparo, poco tempo dopo, partecipa ad una rapina in banca e, dopo un inseguimento per tutta Milano, e fate caso in particolare ad una scena dell’inseguimento, li porta fino in Questura dove il capo della banda, interpretato da un caratterista di quegli anni, Bruno Corazzari, viene crivellato di colpi dai poliziotti dopo che lui stesso aveva iniziato a mitragliare. Caneparo se la prende per l’uccisione, visto che questi avrebbe potuto fare qualche confessione importante, mentre gli altri due erano totalmente inutili. Continuando ad indagare, anche grazie all’aiuto di Maria ex, Caneparo scopre che Padulo è in realtà lo stimatissimo Dottor Salussoglia il quale finge spudoratamente di non riconoscerlo e dopo l’ennesima scazzottata e dopo essere stato portato in carcere per un riconoscimento, viene rilasciato: uno dei due testimoni fa finta di non riconoscerlo, mentre l’altro viene trovato impiccato nella sua cella. Ma ormai Padulo/Salussoglia non ha più la fiducia dell’Organizzazione, la quale gli dà soldi ed un biglietto per Buenos Aires di sola andata. Caneparo si reca per l’ennesima volta da Salussoglia e, dopo una breve colluttazione, quest’ultimo cade sbattendo la testa, venendone dichiarata la morte cerebrale. Nel frattempo, sia Monsumèrda che Maria ex erano stati messi a tacere. Caneparo, venendo accusato di tentato omicidio, scappa a casa del suo collega Viviani e si accorge che nel posacenere c’è un mozzicone di sigaro come quelli che fumava Salussoglia e capisce tutto, ma fa finta di niente. Anzi, dice al collega che Salussoglia non è assolutamente in coma. E siamo alle fasi finali: viene mandato un killer ad uccidere Salussoglia, lo stesso killer che aveva ucciso Del Buono, ed il killer viene ucciso da Caneparo, il quale ottiene la sua vendetta, ma resta ferito. In ospedale va a trovarlo Viviani, il quale gli svela il suo piano: combattere la violenza con la violenza ed attuare, di lì a poco, un golpe. Il collega finge di accettare, ma qualche giorno dopo, mentre Viviani sta per partire, probabilmente per andare ad incontrare qualche pezzo grosso, Caneparo gli dice che non se ne fa più niente. Viviani parte con la macchina, scatta il solito spettacolare inseguimento in cui, con la sua macchina, cade nella scarpata e muore. Caneparo, a questo punto, non può fare altro che consegnarsi alla Polizia.
Il ruolo del Commissario, anche in questo caso, è abbastanza forte: alla violenza si risponde con la violenza, ma con una, secondo lui, giusta violenza e non con quella di coloro che avrebbero voluto attuare il golpe riportando il “ loro ordine “. Emblematica, a tal proposito, è una delle scene finali in cui Viviani dice a Caneparo che “ Tutta la parte sana della Nazione è con te, è con noi “, una frase molto emblematica e molto preoccupante.
Stefano Steve Bertini